E, nell’indifferenza più totale, l’università iniziò a protestare… by

14 Ott
2008

Alitalia, crisi finanziaria mondiale, scioperi generali, gente in piazza. Non si può dire che questo sia un periodo tranquillo. Tuttavia, in mezzo a tutte queste grida, preoccupazioni e proteste, l’università fa (per ora) poco rumore. Qualcuno dirà che non è vero: proteste contro la Gelmini ce ne sono state a tonnellate. Verissimo. Però queste erano al 99% proteste legate alla riforma delle scuole elementari o al più riguardavano le scuole medie. Insomma, si protestava per il maestro unico, la riduzione dell’orario scolastico, il grembiule ed il 5 in condotta (sull’opportunità di protestare contro il grembiule avrei delle idee personali ma le terrò per me). Io di scuole elementari e medie me ne intendo poco (a parte averle frequentate non ho mai guardato per bene come funzionassero) e quindi, sull’argomento rimando a questo post (ironico e satirico) del buon Leonardo.

Quello che ora mi preme di più è farvi presente che abbiamo un problema università. Un serio problema. In realtà non è che questa sia una novità: la ricerca italiana (che, in questo paese, si fa quasi esclusivamente nelle università) è pesantemente sottofinanziata da decenni e da ancora più a lungo le università (esistono eccezioni ma sono, appunto, eccezioni) sono in mano a baroni che fanno il bello ed il cattivo tempo. Il risultato è che non solo di soldi per assumere gente che faccia ricerca e dargli gli strumenti per farla ce ne sono pochini, quel che è peggio è che grossa parte di questi fondi viene sistematicamente intascata o dirottata da questo o quel barone che ne approfitta per far diventare suo figlio professore ordinario o la sorella dell’amante primario in un qualche ospedale.

Ora, non è che le colpe si possano addossare tutte a SB. La situazione era già catastrofica prima che lui scendesse in politica e non ha fatto altro che aggravarsi negli anni successivi. Tuttavia possiamo dire che ci ha messo del suo. Intanto nel suo ultimo governo è stato eliminato il ministero dell’università e della ricerca. Di per sè questo potrebbe essere un pregio (ancora rabbrividisco al pensiero del numero di ministeri dell’ultimo governo Prodi) se non fosse che la signora Gelmini ha dichiarato subito che lei di università non si sarebbe occupata; a lei interessavano le elementari. Anche qui nulla di male; un ministro non può occuparsi di tutto ed i sottosegretari con delega a questo ed a quello servono apposta. Il vero problema sorge quando il sottosegretariato con delega alla ricerca viene dato a Pizza, un uomo il cui unico pregio è quello di non aver obbligato SB a rinviare le elezioni per un cavillo sull’ammissibilità del suo simbolo (all’epoca fece molto scalpore ma pare che in molti se lo siano dimenticati). Il premio per non aver sfranto eccessivamente i maroni è stato un sottosegretariato pare… Se però il signor Pizza si fosse dimostrato competente (o almeno interessato) alla ricerca ed all’università uno avrebbe potuto far buon viso a cattivo gioco e tenerselo: il problema è che dall’insediamento del governo ad oggi Pizza è letteralmente sparito. Qualcuno ha sentito parlare di una “riforma Pizza”? O di un dibattito degli organismi universitari con Pizza? Nulla. Il silenzio più assoluto. L’università è stata completamente ignorata.

L’unica volta che l’università è entrata nei pensieri del governo o del parlamento è stato con la legge 133 e l’unica cosa che viene fatto è tagliare il tagliabile e pure il non tagliabile. A parte il destino del mio stipendio (che NON è il punto di questa discussione dato che io potrei andarmene domani all’estero infischiandomene bellamente di quello che succede qui) quello che viene messo in dubbio da questa legge è il futuro stesso dell’università pubblica. Banalmente nell’arco di pochi anni andrà in pensione una larga fetta dei professori ordinari attualmente a ruolo e questi, per via del blocco del turn-over, non potranno essere rimpiazzati. Se non riuscite a vedere dove sia il problema considerate che la stima è di avere una riduzione di circa del 50% del corpo docente universitario (includendo quelli che verranno assunti) a parità di didattica da sostenere e di ricerca da portare avanti. Il risultato netto sarà, prevedibilmente, che non ci saranno più abbastanza docenti per coprire buona parte dei corsi. A questo punto le università potranno chiudere i battenti o affidare la docenza a chi non solo non è professore, ma non è nemmeno ricercatore: i ricercatori precari (cioè noi).

Un ricercatore precario è una persona che ha già finito il suo dottorato di ricerca e che viene assunto con un contratto a termine (di solito un contratto rinnovabile di anno in anno) dall’università per fare ricerca. In quanto precario non ha diritto a malattia, non ha diritto a vedersi rinnovato il contratto, può essere licenziato in qualsiasi istante, non ha diritto a pagarsi i contributi pensionistici (e questo è peggio di un Co.Co.Co.) e gli anni passati a fare il ricercatore precario non contano assolutamente nulla in qualsivoglia concorso. Un ricercatore precario medio ha essenzialmente tre scelte: può abbandonare la ricerca e trovarsi un lavoro diverso, può stringere i denti finché non mette insieme un curriculum dignitoso e poi diventare un cervello in fuga oppure può stare lì finché non arrivi il suo turno sperando di essersi agganciato al barone giusto. Questo perché in Italia i concorsi per diventare ricercatore o professore non vanno in base al merito ma vengono (sistematicamente) decisi a tavolino ben prima che il posto sia bandito. Quindi, più che essere bravi, per diventare ricercatori serve avere la capacità di aspettare pazientemente che il proprio turno arrivi e/o avere la capacità di trovarsi l’aggancio giusto. Forse interesserà sapere che in Italia l’età media in cui si diventa ricercatori oggi è 44 anni (con una crescita di 0,75 anni ogni anno). Insomma, non proprio una bella vita o una bella prospettiva per il futuro. L’unico buon motivo per cui uno può voler andare avanti è (oltre alla cieca disperazione) l’amore e la passione per la ricerca. Insomma, a me va anche bene non essere a posto fisso, va anche bene essere pagato poco, va anche bene non avere alcuna prospettiva di carriera se non oliando il prof dio turno: però almeno mettetemi in condizione di fare ricerca! Invece adesso che i professori vanno in pensione quello che succederà è che, oltre alla ricerca (che è quasi interamente sulle spalle dei ricercatori precari) ci verrà assegnata anche la didattica. Il tutto a titolo gratuito e “volontario” (notare le virgolette).

Comunque sia, anche così, la stragrande maggioranza delle università non riuscirà ad andare avanti (anche complice una gestione da parte di molti rettori che definire criminale è fargli un complimento) e dovrà chiudere i battenti o trasformarsi in una sorta di super-liceo dove le lauree verranno vendute (o regalate a seconda dei casi) per far quadrare i conti. Già nelle classifiche sulla qualità dei nostri studenti siamo piuttosto indietro, adesso si profila il baratro (sulle fondazioni private magari parlo un’altra volta che è un argomento lungo e complesso).

Tuttavia, pur nell’indifferenza più totale, abbiamo iniziato a protestare. Hanno iniziato a protestare gli studenti, i quali (nonostante le occupazioni abbiano sempre più l’aria di una Woodstock improvvisata) hanno ben chiaro che la qualità dell’insegnamento universitario andrà a peggiorare drasticamente. Hanno iniziato a protestare i ricercatori dato che vedono andare a catafascio le loro possibilità di fare ricerca e quindi di produrre innovazione. Abbiamo iniziato a protestare anche noi (i ricercatori precari). Non chiediamo stipendi più alti e nemmeno un posto al calduccio per tutti. Chiediamo che i finanziamenti per la ricerca smettano di essere distribuiti a pioggia ma che vengano distribuiti secondo criteri di produttività. Chiediamo che i posti smettano di essere dati al figlio o all’amante di questo o quello ma vengano dati ai più meritevoli. Chiediamo che, se ci sono pochi soldi, venga fatta una razionalizzazione, non che venga tagliato tutto, il buono col poco buono. Chiediamo, per farla breve, che la ricerca italiana venga valorizzata e non mortificata. Dopo tutto, quando uno glielo chiede, non sono tutti lì a dire che senza sviluppo ed innovazione non si va avanti? E dove credete che venga fatto questo sviluppo? E soprattutto: da chi credete venga prodotta l’innovazione a cui tanto anelate?

A giro per l’Italia di comitati di protesta ne sono nati diversi. Noi a Firenze ci stiamo organizzando e, per la prima volta, stiamo riunendo ricercatori precari provenienti da facoltà ed atenei molto diversi fra loro (scienze, ingegneria, medicina, architettura, scienze politiche ecc ecc). Il nostro primo passo è stata questa petizione.

Aggiornamento (16/10/2008)

Giusto oggi è apparso un editoriale di Nature dove si parla (male) dei tagli alla ricerca fatti da Brunetta. Temo che non sia ad accesso libero ma lo potete trovare qui. Nello stesso numero di Nature (collegato all’editoriale) c’è anche un articolo (all’interno delle News) che ne parla (lo trovate qui).

(forse) ne abbiamo parlato qui:

3 Responses to E, nell’indifferenza più totale, l’università iniziò a protestare…

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Massimiliano

Ottobre 14th, 2008 at 22:37

Mah, gli studenti che ho visto protestare, almeno per quello che hanno mostrato al TG, mi parevano i classici “non abbiamo voglia di fare nulla ma facciamo casino”.

Ad ogni modo la situazione è tragica e sconfortante, considerando che tra meno di un anno dovrò iscrivermi all’università.

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G.

Ottobre 16th, 2008 at 21:05

Massima solidarietà.
È sempre un piacere leggerti.

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» C’era una volta un FIRB (seconda puntata) Faccio Cose Vedo Gente

Ottobre 26th, 2009 at 11:48

[…] la commissione ancora non c’è. Quando la Ghizzoni fa notare che questa non è una risposta l’inossidabile Pizza (che, ricordiamolo, è sottosegretario con delega alla ricerca) dichiara, fondamentalmente, che la […]

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