La settima lezione (qui la sesta) doveva essere interamente dedicata all’uso della rete e degli strumenti di networking che posso usare, ma un pezzo è stato rubato per terminare il discorso iniziato nella lezione precedente a proposito di comunicazione, e siamo quindi ripartiti dal lancio del mio prodotto.

Perché tutta questa attenzione?
Per diverse ragioni:

  • se fallisco il lancio, perdo una grandissima opportunità (e probabilmente anche un sacco di soldi) quindi è meglio perderci un po’ di tempo in più e provare ad azzeccare il giusto momento, il giusto strumento, i giusti agganci
  • Robert Scoble in una risposta su Quora ha scritto la sua ricetta, e pur essendo molto USA-centrica è interessante vederla nel dettaglio (e come si fa a non condividere quando dice che se non hai una storia da raccontare allora che stiamo a dì?)
  • meritano menzione le “pagine gialle” per startupper e altre cose che in Stamplay stanno testando e cortesemente condividono con noi (qui Giuliano Iacobelli e qui Nicola Mattina). Chi meglio di startupper in azione per farsi dare una dritta?

Per la parte relativa alle reti, parleremo in ordine sparso di community, opportunità di networking, del coworking e degli incubatori. Il punto di partenza dal quale non si può prescidere è l’elenco periodicamente aggiornato di risorse creato da Gianluca Dettori.
Per quanto riguarda gli incubatori, più che presentare una lista di incubatori l’informazione utile è forse quella relativa alle tipologie di incubatori (pubblici, privati, universitari) e alla loro specificità (non/for profit, legati alla ricerca, al territorio, ecc.), con un occhio alla normativa che sta arrivando per gli incubatori certificati (anche loro, insieme alle startup innovative, figli del decreto Crescita Bis), nonché una prima descrizione dei servizi che posso trovare in un incubatore.

Il coworking è un buon mezzo per uscire dal problema di “apro un ufficio oppure no?”, di “faccio il freelance e mi suicido a lavorare da casa, solo tutto il giorno!”, di “devo fare una riunione, in quale bar dò appuntamento ai miei clienti?”, oltre che un modo diverso di lavorare. E fare rete. Con i vicini di scrivania o con chi nel mondo ha deciso di appoggiarsi alla stessa catena di coworking (hai presente The Hub? ecco). Ma anche riflettere su come lavoriamo e come può o deve essere un ambiente di lavoro multiculturale.

Tra le opportunità da valutare, in una sorta di miscellanea, occorre comprendere:

  • i FabLab
  • Startup Saturday
  • StartupWeekend
  • Italian Startup Scene
  • Indigeni Digitali
  • TechGarage
  • ItaliaCamp

..in buona compagnia di altri eventi che ho sicuramente dimenticato di includere nelle slide (ma che se mi segnalate verranno inclusi nella prossima release!).

(forse) ne abbiamo parlato qui:

Nella sesta lezione (qui la quinta) abbiamo discusso dell’importanza della comunicazione. Embè, che c’è da dire? A quanto pare un sacco di cose, dato che siamo anche strabordati in un pezzo della settima lezione!

Siamo partiti dai bisogni e dalla loro identificazione, perché se non mi accorgo che la comunicazione mi serve, c’è ben poco da spiegare. Ma soprattutto abbiamo dato un’occhiata in giro, per capire dove siamo e in che mondo ci muoviamo, qual è il panorama che ci circonda (soprattutto online) e quanto è nuovo il mondo che stiamo per affrontare: il Cluetrain Manifesto, le definizioni di social media, social network e una breve cronistoria ci hanno aiutato a inquadrare meglio un ambiente che ha più di dieci anni ma viene ancora chiamato “new media”.

Sebbene non ci siano regole uniche e i vari strumenti a disposizione richiedano approcci diversi, abbiamo cercato di immaginare come creare un messaggio efficace: quali sono i benefici per me se comunico bene, perché devo farlo in maniera personale e come correggere eventuali messaggi sbagliati, l’utilità di partecipare ai gruppi, l’importanza di conoscere gli usi e costumi dei luoghi che frequento per poterli usare anche a mio vantaggio, e poi qualcosa di più “tecnico” come l’importanza dell’immediatezza, l’attenzione agli orari e ai giorni della settimana, l’uso di diverse tecniche di comunicazione (non ci sono solo i documenti verbosi o qualche immagine statica, abbiamo a disposizione tantissimi strumenti e usarli, bene, non è peccato).

Infine abbiamo provato a immaginare quali sono le regole di cui ho bisogno per lavorare bene all’interno della mia azienda/per il mio prodotto:

  • come conversare
  • come ascoltare
  • pubblico e privato
  • coinvolgere con lo storytelling
  • gli obiettivi

e come far confluire tutto quanto nel piano editoriale.

(forse) ne abbiamo parlato qui:

Nella quinta lezione (qui la quarta) siamo arrivati a parlare di business model; non del minaccioso business plan, no, quello l’abbiamo citato solo in chiusura, invece ci siamo concentrati su quel che c’è prima, su come si costruisce un modello coerente e come si testa ad ogni passo che il modello funzioni prima di arrivare a formalizzarlo nel plan.

Senza doverci inventare nulla di nuovo, abbiamo studiato il business model canvas, così come viene proposto in Business Model Generation: la scelta è stata fatta non solo seguendo il trend del momento, ma anche pensando a diversi bandi che richiedono la presentazione (in forma più o meno schematica) proprio del business model canvas.

Abbiamo quindi visto i nove blocchi in dettaglio:

  1. Value proposition: quel che faccio descritto al meglio. Con il value proposition builder ho alcune domande che mi aiutano a definire in maniera più efficace la mia value proposition
  2. Customer segments: a quali clienti mi rivolgo? Sono una nicchia, un nuovo mercato, una nuova segmentazione o che? Meglio li dettaglio qui, più chiaramente riesco a testare le relazioni con gli altri blocchi
  3. Channels: a quali canali distributivi mi appoggio? Se ho prodotto digitale non vale rispondere solo “online”, soprattutto se ho un sito, una app dedicata, ecc.
  4. Customer relationship: quali relazioni costruirò con i miei clienti? Che modello conto di adottare? La pubblicità televisiva ci presenta spesso servizi che mi garantiscono di avere il mio operatore dedicato che risponde sempre alle mie chiamate, ma non è l’unico modello possibile. L’importante è avere un modello e farlo funzionare, perché ignorare i clienti è la prima causa di fallimento (v. lezione 1)
  5. Revenue streams: quattrini. Da dove mi arriveranno? Vendo un servizio? Affitto beni? Sfrutto la pubblicità? Va tutto dettagliato qui.
  6. Key resources: su quali risorse posso contare? Non solo monetarie, ma anche umane, fisiche, intellettuali
  7. Key partner: difficilmente nel mio business farò tutto da solo. Così come è importante la mia squadra per dare valore ad un progetto, allo stesso modo sono importanti i partner che mi scelgo e questo è il blocco in cui parlo di loro
  8. Key activities: tutto quel che ho descritto finora, in quali attività chiave si concretizza?
  9. Cost structure: infine una valutazione dei costi, per essere certi di averli bene in mente e di non trovarsi gambe all’aria nel giro di pochi mesi. Costi fissi e variabili, economie di scala e di scopo, ma anche quali sono i settori che mi costeranno di più (il personale? le materie prime?)

Vedere gli esempi di business model di Facebook, Twitter, Google, LinkedIn, Groupon, la Coca Cola (almeno in parte: la bottiglia di vetro!), fino a Blockbuster, ci ha offerto la scusa per riflettere e per tentare gli intrecci, per mostrare che ogni blocco deve intersecarsi con gli altri e se ci sono elementi che non si intersecano c’è qualche problema.
Una affermazione irriverente e sincera del fondatore di Wikipedia, Jimmy Wales, ci ha raccontato però che non tutto va sempre secondo le regole: Wikipedia è nata senza un modello di business e neanche di sostenibilità, come una sperimentazione pura che man mano si è trovata un modo per vivere. Serve altra prova per dimostrare che non ci sono ricette certe per il successo?

L’ultima parte l’abbiamo dedicata ai community business model, all’opportunità di usare le community per trarne vantaggio per il mio business (siano esse esistenti o create ad hoc).

(forse) ne abbiamo parlato qui:

Nella quarta lezione (qui la terza), tenuta da Emma Tracanella, il focus è stato sugli aspetti economici: come valutare i costi, capire quando c’è da pagare e come valutare il mio prodotto.
Nei costi era importante capire la differenza tra costi diretti e indiretti, soprattutto perché sui secondi si rischia di peccare di ingenuità e dimenticarseli.. con gravi rischi per il bilancio finale. I costi indiretti, ad esempio, sono quelli più difficili da far figurare all’interno di un progetto finanziato (ho in mente i bandi di diverse fondazioni) perché, pur essendoci, è difficile quantificare (e quindi dimostrare) quanto impattano effettivamente il singolo progetto.
Uno strumento carino per costringersi a pensare a tutti i costi è il Cost of Doing Business Calculator, qui in versione per fotografi, ma online se ne trovano esempi diversi adattabili anche ad altri business.

Inserire una parte sui costi per cassa e per competenza è stata un’idea mia, dopo aver visto degli sguardi vacui quando ho accennato alla questione parlando del rapporto “Restart, Italia!” (dove si insiste sui problemi legati al fatto che “[..]Le imposte, al contrario, sono dovute per competenza e non per cassa, ossia fanno fede le fatture emesse e ricevute, non il loro reale pagamento.”).

Una volta fatti i conti sulle uscite, occorre valutare attentamente la gestione delle entrate e quindi quanto farò pagare il mio prodotto.
Uscire con un prezzo sbagliato è un rischio che potrei pagare caro: se esco basso non potrò poi aggiustare il prezzo verso l’alto a meno di non investire per riposizionare il mio prodotto.
E’ quindi il momento di fare una valutazione sul valore del mio prodotto e soprattutto sulla sua percezione: spesso il mercato è disposto a pagare diversamente due prodotti che fanno la stessa identica cosa, se mi vengono “venduti” (stavolta penso al marketing, non direttamente al prezzo) in maniera diversa. E’ il caso dei rasoi Gilette, dove quelli usa e getta mi costano meno di un rasoio a lame sostituibili (ovviamente a parità di prestazione), dello scotch piuttosto che dei mini-adesivi per attaccare i miei poster, fino ad arrivare ad esempi più famosi nel campo della moda (devo dire Lacoste? Lacoste!).

A metà tra la percezione e il prezzo ci sono anche i modelli attraverso cui penso di vendere il mio prodotto: un buon esempio è il freemium, che mi permette non solo di testare ma di avere un prodotto funzionante e gratis; Se me ne innamoro ho a disposizione una serie di funzionalità aggiuntive a pagamento. Oppure la pubblicità: penso che il prodotto sia gratuito e invece non rifletto sul numero di spot che subisco (alzi la mano chi non sta odiando gli spot all’inizio dei video di YouTube!).

(forse) ne abbiamo parlato qui:

Nella terza lezione (qui la seconda) abbiamo analizzato tutto quel che passa tra l’avere un’idea (geniale, possibilmente) e il farla diventare un progetto imprenditoriale, tenuto conto che non esiste un elenco di azioni che mi porterà sicuramente al successo dato che ogni progetto fa storia a sé.

Intanto è essenziale partire con un chiaro scopo, essendosi dati un obiettivo temporale e sapendo quali sono le risorse disponibili, altrimenti è difficile anche solo parlare di progetto e poi possiamo partire con il circolo virtuoso che mi aiuterà a sviluppare il mio progetto:

  • per prima la pianificazione strategica, con tutte quelle domande antipatiche (ci posso fare i soldi con la mia idea? è scalabile? rispondo a una domanda del mercato o devo instillare io il bisogno nei miei potenziali clienti? ho dei concorrenti? ecc.)
  • poi l’analisi, il cui punto principale è forse lo studio di fattibilità (nel quale non vale barare! devo guardare al mio prodotto e cercarne tutti i punti deboli, per affrontarli adesso, mica quando sarò in produzione e rischio di pentirmi amaramente)
  • dopo viene la progettazione, fisica, ma che deve tenere conto di tanti parametri (come le performance, l’usabilità, la sicurezza – mica solo quella informatica! -, considerare la trasversalità del mio prodotto e valutare tutte le certificazioni necessarie o interessanti)
  • finalmente posso passare a produrre (ricordandomi di prioritizzare le funzionalità – il mio frullatore a immersione alla sua prima uscita sul mercato sarà mica nato con le migliaia di accessori che ha oggi, no? – e soprattutto testando ad ogni piè sospinto)
  • e infine la manutenzione, il grande bivio nella vita di un prodotto: qui posso imboccare la via della manutenzione evolutiva e rifare uno o più giri del mio circolo oppure attestare la maturità del mio prodotto, sperare che duri il più possibile prima dell’inevitabile declino

Se sono arrivato fin qui con le idee chiare, sono pronto a scrivere il mio progetto. Perché è importante scrivere? Perché formalizzare mi costringere a mettere le cose in fila, una dopo l’altra e controllare che ci sia congruenza da un passaggio all’altro; inoltre è il primo passo per comunicare il mio progetto.

E se ho bisogno di una mano?
Posso rivolgermi a Kublai, l’incubatore per progetti territoriali sostenuto dal Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione Economica (Min. Svil. Econ., Min. Coesione Terr.).
In Kublai trovo tutor e un coach dei progetti, posso accedere ad una vasta community con tanti skill, se seguo il blog avrò informazioni sui bandi, l’opportunità di imparare ogni giorno qualcosa di nuovo confrontandomi e discutendo con gli altri progettisti, accesso agli help desk con lo staff e soprattutto.. un’iniezione di buon senso (se necessario!).

Kublai è l’unico ambiente al quale posso rivolgermi prima di aver formalizzato in qualsiasi modo la mia idea. Tutti gli altri (incubatori, seed accelerator) richiedono che prima io abbia le idee ben chiare.

(forse) ne abbiamo parlato qui:

Startup innovative by

25 Mar
2013

Nel corso della seconda lezione (qui la prima) ci siamo avventurati nel cuore delle novità e soprattutto delle leggi italiane.
La maggiore novità è il Decreto Crescita (o Sviluppo bis), che introduce il concetto di startup innovativa e ne fissa le regole e i benefici. Accanto alle startup innovative ci sono quelle a sfondo sociale, che ne sono un sottoinsieme e prevedono ulteriori vantaggi.

Poiché le startup innovative devono essere delle società di capitali, sono state create due nuove tipologie di srl:

  • la società semplificata a responsabilità limitata (ssrl)
  • la società a responsabilità limitata a capitale ridotto (srlcr)

che prevedono sgravi per i minori di 35 anni.

Poi abbiamo visto le principali tipologie di lavoro in Italia, utili sia per chi si troverà ad assumere, ma anche in caso di prima assunzione o primo lavoro per capire bene cosa mi stanno offrendo e perché una azienda mi offre un contratto rispetto ad un altro.

Infine abbiamo parlato di diritto d’autore (e copyleft, non potevo ovviamente esimermi!), marchi registrati e brevetti.

(forse) ne abbiamo parlato qui:

Startup in Italia by

11 Mar
2013

Da settimana scorsa insegno allo IED. Insieme ad Emma tengo un corso in 10 lezioni sul tema delle startup, dove proverò a raccontare quel che so sull’argomento, studiare cose nuove, condividere esperienze (come Kublai e altre che ho avuto la fortuna di incontrare negli anni). Il corso è doppio, in italiano e in inglese, e io per pigrizia preparo le slide solo in inglese!

Nella prima lezione abbiamo fatto un viaggio nelle startup italiane degli ultimi 20 anni: mentre non è stato facile trovare i casi di successo, è stato parecchio difficile trovare quelli di insuccesso. Un paio arrivano dalla mia memoria, uno l’ho trovato leggendo Gianluca Dettori, gli altri due non sono italiani.. in un paese che vede il fallimento come la fine di tutto mi sembra quasi normale che tutto sparisca e non sia destinato nemmeno al ricordo della rete.

(forse) ne abbiamo parlato qui:

Ad ottobre 2011 ho tenuto per una settimana il Faber Blog e il primo post che ho pubblicato è quello che ripropongo di seguito.
Il discorso, come ho raccontato settimana scorsa su CheFuturo, è ahimè ancora super attuale.

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Alle 20.15 di martedì scorso, 4 ottobre, mi suona il telefono:
“Cos’è successo a Wikipedia?”
“C’è un comunicato a proposito del DDL sulle intercettazioni?”
“Sì e non posso accedere a nessun’altra pagina..”
“E’ iniziato lo sciopero di Wikipedia”

Era un’amica e insieme al figlio voleva controllare una informazione su Wikipedia, ma non hanno potuto.

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Il primo inizio è stato a giugno del 2010: su Wikipedia si dibatte del DDL sulle intercettazioni e sulle sue ricadute sul progetto e Wikimedia Italia rilascia un comunicato stampa contro il DDL, affermando:

[..] ci opponiamo a qualsiasi provvedimento che possa operare una riduzione della libertà di informazione. Rivendichiamo il diritto a un sostegno maggiore al settore culturale e respingiamo gli interventi punitivi ai danni della produzione culturale e di informazione giornalistica, specie quando colpiscono l’attività di singoli cittadini che anonimamente, gratuitamente e volontariamente investono il proprio tempo e profondono il proprio impegno per rendere accessibile a tutti, in maniera libera e gratuita, la conoscenza e l’informazione.

Il comunicato è stato pubblicato anche su Wikipedia e ha raccolto un certo consenso, essendo stato firmato da oltre 300 persone.

Il 26 settembre 2011 il tema torna alla ribalta, Nicolabel scrive:

[..] L’attuale formulazione dell’articolo contestato (art. 1, comma 29) obbliga i gestori di qualunque sito web (sia esso quello di una testata giornalistica, un blog amatoriale o un’enciclopedia) a pubblicare integralmente, senza modifiche e senza commenti, una rettifica per ogni contenuto pubblicato, in presenza di una semplice richiesta – anche via email – di chiunque si ritenga leso dal contenuto e indipendentemente dalla fondatezza del ricorso. In caso di mancata o tardiva pubblicazione, è prevista una multa fino a 12 mila euro.
Gli effetti della norma su Wikipedia sono stati discussi più volte [..]e hanno posto in evidenza che una norma siffatta sarebbe in contrasto con elementi costitutivi di Wikipedia: dal pilastro sulla neutralità dei contenuti (che verrebbe inficiato dalla presenza nelle voci di dichiarazioni di parte non ulteriormente commentabili), alle caratteristiche tecniche del software mediawiki (che non permette di precludere le modifiche soltanto alla parte di una voce contenente la rettifica), alle modalità editoriali (che non prevedono la presenza di una redazione in grado di prendersi in carico la tempestiva pubblicazione delle rettifiche, specie se comunicate via email a contributori episodici).
Questa pagina chiarisce che né l’assenza di cittadinanza italiana né l’ubicazione all’estero dei server di WMF sono in grado di evitare l’applicazione della norma.

Si dibatte lo scenario possibile e si fanno esempi su come potrebbe essere l’applicazione delle rettifiche (un bellissimo esempio lo fa anche Metilparaben)

L’1 ottobre iniziano a preoccuparsi anche gli amministratori di Wikipedia, che discutono sull’opportunità di continuare a chiamarsi così, visto che nella pratica non amministrano il sito, ma sono utenti che hanno avuto la fiducia dalla comunità per poter compiere determinate azioni tecniche (proteggere, cancellare e ripristinare pagine, bloccare e sbloccare utenti).

Poi la discussione continua sulla mailing list (privata) degli amministratori e il 3 ottobre viene proposto di oscurare tutta Wikipedia mostrando solo un comunicato oppure inserire il comunicato in testa ad ogni pagina. Con 51 voti a favore, 5 contrari e qualche astenuto, la proposta di oscuramento passa.

Alle 20 di martedì 4 ottobre l’edizione in italiano di Wikipedia non è più accessibile: chiunque cerchi di consultarne le voci viene rimandato a questo comunicato. La stampa italiana se ne accorge molto rapidamente: dal Corriere mi chiamano attorno alle 20:30, poi moltissime redazioni lo segnalano (la rassegna stampa in continuo aggiornamento è qui).
Nel giro di un’ora su Twitter non si parla d’altro, alle 21.30 arriva il supporto di Wikimedia Serbia seguita nel corso delle ore da molti altri chapter (Svezia, Argentina, Italia, ..), alle 22 esce su Business Insider, su Facebook il gruppo “Rivogliamo Wikipedia – No alla legge Bavaglio” raccoglie 1000 firme in 4 minuti (ora ne ha quasi 280.000), la comunità wikimediana internazionale ne discute su una lista pubblica, alle 23 arriva il primo supporto informale da Wikimedia Foundation seguito qualche ora dopo da quello ufficiale, Jimmy Wales, il fondatore di Wikipedia, si scaglia contro il DDL twittando Wikipedia Italy is on strike against an idiotic proposed law (rincarerà la dose il giorno dopo in una intervista), Jaqen pubblica delle FAQ sullo sciopero provando a spiegare ai non addetti ai lavori cosa sta succedendo.

Al termine delle prime 24 ore di sciopero viene aperta una pagina (che al termine verrà sdoppiata), scrivibile solo dagli utenti registrati di Wikipedia, per riaprire il dialogo con la comunità e decidere come procedere. Le ipotesi di riapertura si fondano sull’emendamento proposto da Cassinelli (che limita le rettifiche ai giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica e registrati ai sensi dell’articolo 5, si veda ad esempio qui) e una certa stanchezza avvertita dall’estero; intanto anche dalla comunità italiana arrivano le prime critiche.

Alle 14 di giovedì 6 ottobre, dopo 42 ore di sciopero, Wikipedia in italiano è nuovamente consultabile. In testa a tutte le pagine campeggia un breve messaggio:

Il 4, 5 e 6 ottobre 2011 gli utenti di Wikipedia in lingua italiana hanno ritenuto necessario oscurare le voci dell’enciclopedia per sottolineare che un disegno di legge in fase di approvazione alla Camera potrebbe minare alla base la neutralità di Wikipedia.

Sono stati proposti degli emendamenti, ma le modifiche al disegno di legge verranno discusse solo a partire dal prossimo mercoledì 12 ottobre. Non sappiamo, quindi, se sia ormai scongiurata l’approvazione della norma nella sua formulazione originaria, approvazione che vanificherebbe gran parte del lavoro fatto su Wikipedia.

Grazie a chi ha supportato la nostra iniziativa, tesa esclusivamente alla salvaguardia di un sapere libero e neutrale.

E ora?

Ora osservano tutti l’iter del DDL intercettazioni. Intanto Fantasma ha preparato delle FAQ sullo sciopero per spiegare l’accaduto, e la comunità internazionale continua il dibattito sull’opportunità dello sciopero.

(Non ho quasi nominato Wikimedia Italia e ho introdotto tanti attori senza spiegare chiaramente chi sono. Trovate qualche informazione in più nelle varie FAQ che ho linkato, oppure ci rileggiamo domani quando proverò a raccontare il mondo Wikimedia e chiarire i vari attori.)

(forse) ne abbiamo parlato qui:

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Wikimedia Open Day by

29 Nov
2011

Sabato 3 dicembre siamo ospiti di TelecomItalia a Roma presso l’Opificio per il Wikimedia Open Day, una lunga giornata in cui presentiamo il nostro mondo e, nel pomeriggio, teniamo la nostra assemblea (aperta a tutti, as usual).
Organizziamo una giornata aperta perché pensiamo sia bello metterci la faccia e dare la possibilità a tutti di venire a vedere cosa facciamo e come lo facciamo, e rispondere ad un po’ di domande, curiosità e accogliere suggerimenti.

Ecco l’agenda della giornata:
ore 9.30 Apertura dei lavori e saluti
ore 10.00 Presentazione dell’universo Wikimedia
ore 10.30 Relazioni e racconti dei partecipanti a Wikimania 2011
ore 11.30 Wikipedia mobile: diffusione via mobile dei contenuti
ore 12.00 Presentazione Wikiguide
ore 12.30 Domande
(pausa pranzo)
ore 14.00 Ripresa dei lavori e inizio dell’assemblea. Durante l’assemblea parleremo di: andamento dell’associazione, lavori dell’ultimo anno, aggiornamento del regolamento, rinnovo delle cariche sociali, possibilità di organizzare Wikimania a Napoli, varie ed eventuali (che sono sempre la parte più interessante!)
ore 18.00 chiusura dei lavori

L’appuntamento è all’Opificio Telecom, via dei Magazzini Generali 20/A 00154 Roma. Ci vediamo lì?

(forse) ne abbiamo parlato qui:

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Sono stati pubblicati i video di Happy Birthday Web, li trovate qui.

Ecco il mio intervento:

Come giustamente notava Elitre, se ogni tanto mi ricordassi di respirare sarebbe meglio!

(ma 200 secondi sono pochi e bisogna correreeeeeeeeeeeeeeee..!)

(forse) ne abbiamo parlato qui:

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