La notte delle note by

30 Giu
2008

C’è stato un periodo in Italia negli anni ’60 e ’70 dove tanti cantanti famosi per creare qualche hit di successo senza troppo faticare traducevano, spesso malamente, qualcuno dei grandi successi internazionali che abbondavano oltreoceano in uno dei periodi più fervidi in fatto di creatività musicale.
Le traduzioni erano più o meno fedeli, ma ci sono stati casi davvero eclatanti di canzoni mitiche snaturate da una pessima localizzazione.

Uno dei “colpevoli” per eccellenza è Adriano Celentano: prendere “Stand by me” di Ben King, una dolce ballata sulla solitudine e sull’amore e trasformarla in un “Pregherò” da oratorio è un reato contro natura, perpetrato tra l’altro con l’aiuto del famigerato Don Backy.
La canzone ebbe anche strascichi legali, perchè Celentano non sapeva che sulla musica gravassero dei diritti di copyright, ma nonostante questo è giunta fino a noi. Purtroppo.
Il Molleggiato ha praticato estensivamente l’arte della malatraduzione in almeno altri 3 casi: “Stai lontana da me”, “Il Contadino” e “Il problema più importante”.
Celentano però subì anche un plagio/cover, con “Il ragazzo della via Gluck” tradotto in francese da Francois Hardy… Ben gli sta.

Anche Caterina “casco d’oro” Caselli non ha perso l’occasione di rovinare un bel po’ di canzoni: una su tutte “Paint it black” dei Rolling Stones, che pur mantenendo pressappoco lo stesso testo (la morte dell’amata pone un velo nero di tristezza sugli occhi del protagonista) non ha certo la stessa grinta e cattiveria disperata dell’originale.
Oppure per completezza come non citare anche “La casa degli angeli”, che traduce Neil Diamond (“I am, I said”) trasformando il canto straziante di solitudine di un newyorkese trapiantato a Los Angeles in un patetico “noi vivevamo come due rondini / nascoste tra i rami della vita / nella casa degli angeli / Qualche volta ci ricordavamo di dormire / ma era più il tempo che ci amavamo”.
Ricordiamo anche “Sono Bugiarda”, che stravolgeva il senso di “I’m a Believer” dei Monkees (sì, quella di Shreck), scritta sempre da Neil Diamond, che non stento a immaginare cosa avrebbe fatto col casco dorato della ragazzetta italiana se solo avesse saputo.

Non vanno dimenticati i Dik Dik, che tra “L’isola di Wight” (“Wight is Wight”, Michel Delpech), “Ma tu chi sei” (“Bad side of the moon”, Elton John), “Inno” (“Lets go to San Francisco”, Flower Pot Men), “La tua immagine” (“Sound of Silence”, Simone&Garfunkel) e altre decine di cover simili ealtrettanto patetiche, alla fine devono aver imparato l’inglese e hanno tradotto final mente in modo fedele “Sognando la California” (“California Dreamin'”, Mamas&Papas).

Caso simile a quello degli Equipe84 che nella loro carriera sono riusciti a rovinare canzoni di Cher, Beach Boys, Bee Gees, Rolling Stones (“Time is on my side” diventa “La fine del libro”… un po’ di dignità!) prima di affidarsi ad un buon traduttore per “Io ho in mente te”, che è identica per testo e musica a “You were in my mind” di Barry McGuire.

Barry McGuire, parliamo di lui. Nella seconda metà degli anni ’60, negli States, andava forte come cantante folk, incantava le folle con la splendida “Eve of destruction” sommario di tutte le paure che attraversavano la politica internazionale dell’epoca, dalla guerra fredda alla questione mediorientale e alla rinascita dell’estremo oriente.
In Italia però mica avevamo CIA e KGB, dovevamo accontentarci di Don Camillo e Peppone… per cui un cantautore (molto canta e poco autore) di sinistra, tal Pietro Masi, personaggio di riferimento del gruppo Lotta Continua, trasformò l’inno pacifista in “L’Ora del Fucile”, il cui ritornello dice “cosa vuoi di più, compagno, per capire / che è giunta ormai l’ora del fucile? / […] / ovunque barricate: da Burgos a Stettino, ed anche qui da noi, / da Avola a Torino, da Orgosolo a Marghera, da Battipaglia a Reggio, / la lotta dura avanza, i padroni avran la peggio.”
Evidentemente la minaccia nucleare è ben poca cosa rispetto ad una manifestazione “rossa”…

“If I had an hammer”… nella versione originale Pete Seeger chiedeva un martello per correggere le ingiustizie del mondo: “Scaccerei il terrore a martellate / Scaccerei la paura a martellate / Metterei l’amore a forza di martellate / Tra i miei fratelli e le mie sorelle / Su tutta questa terra”.
Ma qui siamo provinciali, non possiamo osare così tanto. Rita Pavone, la odiosa Rita Pavone, si accontenta quindi di chiedere “Datemi un martello” perchè “Lo voglio dare in testa / a chi non mi va. / A quella smorfiosa / con gli occhi dipinti / che tutti quanti fan balla re, / lasciandomi a guardare, / eh che rabbia mi fa / […] / A tutte le coppie / che stanno appiccicate, / che vogliono le luci spente / e le canzoni lente”.
Meno male che alla fine della canzone italiana la povera Rita viene chiusa in casa da mamma e babbo a ballare l’hullygully con gli amici… limitiamo i danni.

continua

(forse) ne abbiamo parlato qui:

2 Responses to La notte delle note

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.mau.

Giugno 30th, 2008 at 21:34

devo recuperarti il testo della cover di Sound of Silence (“Se tu guardi gli occhi miei / che hanno pianto per amor / che han versato tante lacrime /…”)
Però Scende la pioggia è molto meglio di Eleanore (“Elenore, gee I think you’re swell / And you really do me well / You’re my pride and joy, et cetera)

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Icekent

Luglio 1st, 2008 at 22:12

volevo anche segnalare Solitary Man, di Johnny Cash, ripresa da Gianni Morandi come Se perdo anche te, con parole che non c’entrano nulla con la versione originale.
E poi Flowers in your hairs, cantata in originale da Scott Mc Kenzie, e che Bobby Solo ha ripreso come San Francisco, rispettandone abbastanza il testo.

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