Così legiferò la Gelmini by

9 Gen
2009

Le vacanze sono finite. È scoppiata una guerra. Il gas dalla Russia arriva a singhiozzo. Alitalia resta il pasticcio che era. La Iervolino dimostra di essere pur sempre la Iervolino (mica me ne sono dimenticato di quando era ministro dell’istruzione!).

In mezzo a tutto questo il Decreto Gelmini sull’università è diventato legge (con tanto di fiducia). C’è chi ha gridato al miracolo, chi ha gridato allo scandalo e chi, per non sentirsi solo, ha gridato e basta. Tuttavia voglio rivelarvi un segreto: la legge “disposizioni urgenti per il diritto allo studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema universitario e della ricerca” non esiste. O meglio, esiste una legge con questo nome ma si tratta di uno scatolotto vuoto.

L’idea di fondo che “dovrebbe” stare alla base della legge è quella di iniziare a premiare il merito nella ricerca e stroncare baronati ed inefficienze. Lodevole iniziativa finché si rimane nell’empireo delle belle idee. In pratica questa legge non fa nulla di quello che promette. Vediamo nel dettaglio:

  • In Italia abbiamo un gran numero di università e di professori. I professori ordinari sono addirittura in numero paragonabile (se non superiori) ai ricercatori. In questo modo la naturale struttura piramidale viene rovesciata ed il tutto va a pesare sui precari dell’università. Vista così l’idea di impedire a chi spende più del 90% del Fondo di Finanziamento Ordinario in stipendi (ovvero la quasi totalità delle università italiane) di fare nuove assunzioni sembra ragionevole. Con lo stesso spirito sembrerebbe ragionevole anche il blocco del turn-over. Del resto se c’è troppa gente è inutile assumerne di nuova. Aspettiamo che il personale ritorni ad un livello accettabile ed assumiamo solo a quel punto. Logico no? No, è un’idiozia e dimostra  una totale mancanza di comprensione del funzionamento del mondo universitario. Il problema non è che ci sono troppi ricercatori, il problema è che ci sono troppi professori ordinari. La maggior parte di questi oramai non si occupa di ricerca da una vita. Se tutto va bene fanno didattica e si sbattono a trovare i fondi, se va male nemmeno quello. Tra le altre cose una gran massa degli attuali professori ordinari sono entrati tutti insieme a ruolo grazie ad una moratoria che ha trasformato in “strutturati” tutti quelli che passavano di lì (incluso il ministro Brunetta) ed ora stanno per andare in pensione tutti insieme. Bloccare il turn-over di botto vorrebbe dire che nell’arco di due o tre anni le università non avranno più nessuno a cui far fare lezione e che, prima che vengano riaperti i concorsi, tutti i nostri migliori cervelli si saranno già dati abbondantemente alla fuga. Dopo le proteste di studenti e precari il governo ha fatto un passo indietro ed ora il turn-over è possibile al 50% (ovvero: vanno in pensione due persone ne assumo una) per gli atenei “virtuosi”. Il concetto di “virtuoso” ci porta direttamente al prossimo punto.
  • Il 7% del Fondo di Finanziamento Ordinario verrà assegnato agli atenei “virtuosi”. L’idea di base non è male (premio i migliori così da creare un minimo di stimolo a migliorare) ma il concetto di “virtuoso” è mal definito. Quando si parla del turn-over infatti gli atenei virtuosi sono quelli coi bilanci in regola (non importa se sono insignificanti dal punto di vista della ricerca, se gli studenti seguono le lezioni in sovraffollate aule fatiscenti o altro, basta che i conti siano in regola). Per quanto riguarda il 7% dei finanziamenti bisogna avere i conti in regola ed avere una pagella del CUN dove si dice che l’ateneo è meritorio. Qualcuno ha notato dove sta il vero errore? Lasciate perdere la storia della possibilità di trasformare le università in fondazioni private: quella è un peccato veniale. Il vero problema è che la valutazione del bilancio e del “merito” viene fatto per ateneo e non per dipartimento. Spieghiamo: prendete l’università xxx, all’interno di questa università c’è il dipartimento yyy (medicina, italianistica, matematica o quello che volete voi) che è un gran bel dipartimento. Organizzato bene, bravi i professori, ottima didattica e ricerca di altissimo livello internazionale. Insomma, un paradiso. Nello stesso ateneo però c’è anche il dipartimento zzz che invece è in mano ad un baronato inefficiente e nepotistico che sforna laurati di livello mediocre e la cui ricerca è inesistente. Logica vorrebbe he si premiasse il primo e si punisse il secondo. Meritocrazia vuol dire questo. Invece il primo verrà incluso nell’ateneo “non virtuoso” per colpa del secondo. Così avremo un dipartimento ottimo che andrà a morire per mancanza di fondi e personale ed un dipartimento pessimo che manco si accorgerà della differenza.
  • Una volta fatte le pulci al “virtuosismo” fiscale facciamole al “merito”. Ebbene sì, finalmente qualcuno dovrà dire se questo o quell’ateneo e questo o quel professore abbiano una produzione di ricerca “meritoria” o meno. Come? Mistero… Nella legge non ce ne è traccia alcuna. Si fa riferimento ai decreti attuativi ma nessuno ha notizia su cosa i decreti attuativi dovrebbero contenere. Certo, se questi decreti fossero fatti benissimo si potrebbe iniziare ad avviarsi nella giusta direzione. D’altra parte se fossero fatti male (o anche solo mediocremente) farebbero più danni che altro. Insomma, si dice “bisogna valorizzare il merito” ma non si dice nè come nè quando. Eppure io ero convinto che lo scopo di una legge fosse di fare delle regole, non di enunciare principi primi così vaghi che tutti sono d’accordo.
  • Che i concorsi siano una buffonata oramai lo sanno anche i sassi. Nei posti dove le cose vanno bene si sceglie una persona meritevole, poi si fa un concorso-burletta e la si fa vincere. Dove le cose vanno male si fa vincere l’amico, il parente o l’amante. Anche qui la legge Gelmini sembrerebbe, a prima vista, andare nella direzione giusta. Per evitare che le commissioni fossero formate ad hoc 3 dei 4 membri della commissione (tutti professori ordinari) saranno estratti a sorte da una “lista nazionale” ed uno nominato dall’ateneo (questo può essere un ricercatore nel caso di esami da ricercatore). La “lista” è un insieme di professori votati dagli altri e deve essere grossa almeno tre volte la dimensione della commissione. In questo modo la possibilità di fare pastette viene un po’ diminuita (anche se resta tutt’altro che nulla). Un’altro punto è l’eliminazione dell’esame scritto. L’esame sarà per titoli e discussione degli stessi. In effetti, con buona pace di molti, lo scritto è il punto dell’esame in cui è più facile barare e quindi toglierlo ha una sua giustificazione. E allora dove sta il problema? Il problema risieda nella assoluta mancanza nella legge di qualunque riferimento ai criteri con i quali valutare i “titoli”. Letteralmente “la valutazione comparativa è effettuata sulla base dei titoli, illustrati e discussi davanti alla commissione, e delle pubblicazioni dei candidati, ivi compresa la tesi di dottorato, utilizzando parametri, riconosciuti anche in ambito internazionale, individuati con apposito decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, avente natura non regolamentare“. Insomma, anche qui si rimanda a decreti attuativi (cosa voglia dire “di natura non regolamentare” non l’ho capito).

Insomma: questa legge butta giù un po’ di frasi generiche quali “eliminiamo gli sprechi” o “valutiamo il merito” ma non dà alcuna indicazione su come raggiungere questi obbiettivi. Come dicevo è poco più di uno scatolotto vuoto dove ciascuno può vederci quello che meglio crede.

(forse) ne abbiamo parlato qui:

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